La storia

Brevi notizie storiche

Brevi notizie storiche

Dell’antico oratorio si hanno documenti fino al 1524. Fu eretto dalla famiglia dei Bonagente, una delle famiglie operose a Santorso nei secoli XV e XVI. I Bonagente provenivano da Schio dove risiedevano già alla fine del Trecento nella contrada Oltremonte (l’attuale via Pasini). Giunti a Santorso si presero cura dell’Oratorio dedicato al Santo invocato contro “il fuoco di S.Antonio” e poi anche contro la peste, creando a suo favore una piccola dote ed acquistando il diritto di nominare un sacerdote addetto ad esso. Nel 1566, come risulta da una visita pastorale in data 21 gennaio 1566, vi celebrava tutti i giorni festivi un frate del convento di S. Francesco di Schio e negli anni seguenti si arrivò a far celebrare la Messa tre o quattro volte la settimana. Nel 1638 furono eseguiti nella chiesetta importanti lavori fi restauro. Risale forse a quest’epoca il piccolo campanile e certamente la pala oggi custodita nella cappella invernale della chiesa parrocchiale del Timonchio, opera di “Zuanne Caschini pittor veronese”. A fine Seicento il servizio religioso fu diminuito, ma sempre rimase la Messa festiva. Altri restauri alla chiesa e al campanile furono realizzati agli inizi del secolo seguente. Mutamenti importanti avvennero a metà dell’Ottocento quando l’Oratorio, con i suoi diritti su di esso, divenne proprietà del singor Samuele Facci di Santorso (1858). Si pensò allora a sua radicale ricostruzione. Il progetto è stato attribuito all’architetto Ottone Calderai autore anche del nuovo santuario di S. Orso . L’attribuzione è pero da ritenersi dubbia dato che il famoso architetto morì nel 1803. Nel 1864 fu benedetta la prima pietra del nuovo edificio dall’arciprete di Santorso don G.B. Fioretti. Nel 1878 la chiesa risulta ancora da ultimare. Nel 1897 il nuovo proprietario cedette l’Oratorio e il diritto di patronato all’arciprete di Santorso don Gaetano Greselin. La chiesetta ebbe in eredità anche una casa vicina già appartenuta a don Vito Nicoletti. L’arciprete Greselin cedette poi la chiesa, nel 1913, con i suoi diritti, a tre rappresentanti della contrà Timonchio e fece proseguire la celebrazione  della Messa festiva da parte di un cappellano della parrocchia di S. Maria di Santorso. Le sante Messe festive erano in realtà due: La “Messa prima” alle 5,30 o alle 6,00 e la “Messa delle 9,00”. Entrambe erano assai frequentate tanto che i fedeli per avere la possibilità di sedersi, sui banchi o sulle sedie, si recavano in chiesa con notevole anticipo. Il sacerdote, arrivando, faticava ad aprirsi un varco tra i fedeli per andare in sacrestia a prepararsi per la celebrazione. Alla Messa delle nove, poi, le persone erano così numerose che non tutte riuscivano ad entrare in chiesa così assisteva alla celebrazione sui gradini esterni….. Il  progressivo aumento della popolazione della zona evidenziò successivamente l’esigenza di una chiesa più grande, idea che trovò realizzazione negli anni  ’62-’65 quando venne portata a compimento l’attuale chiesa parrocchiale dedicata a “S. Antonio di Padova”.

Episodi di vita religiosa nella nostra contrada negli anni ’40 

(dalle Memorie storiche di don Giovanni Cattelan)

   

La festa di S. Antonio

Il 13 giugno 1943 alla sera viene celebrata la festa di S. Antonio e nel quartiere, non illuminato perché proibito dalla guerra, ha luogo accompagnata dalla banda del Tretto la tradizionale processione con imponente concorso di popolo.

Il capitello di S. Prosdocimo

7 novembre 1943- Si pensa in questo giorno al nuovo affresco e al rinnovato capitello di S. Prosdocimo posto nell’angolo fra Via Volti e Via Timonchio. Il lavoro sarò eseguito dal pittore Pupin di Schio e sarà fatto per ottenere la propizione di questo santo dai flagelli della guerra. 20 agosto 1945- Dopo le funzioni il Vescovo scende al Timonchio dove benedice il nuovo capitello di S. Prosdocimo e parla al numeroso uditorio che lo attendeva. 

Il ricreatorio femminile

8 dicembre 1940. Nel giorno dell’Immacolata viene inaugurato presso l’orfanotrofio il ricreatorio femminile. Il ricreatorio della Signora Scala tanto benemerita per la gioventù femminile, resta aperto per il quartiere del Timonchio.

La chiesetta di S. Antonio Abate

Settembre 1942-  Sono ultimati i lavori nella chiesa di S. Antonio. L’altare fino a sopra la mensa è stato rifatto in marmo, di marmo è stato costruito pure il tabernacolo con porticine di sicurezza, fu ripulita con nuova tinteggiatura tutta la chiesa, eccetto il soffitto. Così anche questo oratorio si presenta con decoro.   

La Madonna Pellegrina

Ottobre 1949- Incominciamo i preparativi e le preghiere  per il grande prossimo avvenimento del soggiorno in Santorso per tre giorni  della Madonna Pellegrina. Le contrade fanno a gara per raccogliere offerte, che raggiungono la somma di quasi 200000 lire. Già specializzati  stanno collocando lampadine elettriche per fare risaltare architettonicamente la tre chiese coi tre campanili: Santuario, S. Maria, S. Antonio. Il signore Berton Giuseppe offre due manti per padiglione al trono della Madonna uno per S. Maria e l’altro per S. Antonio, il primo di 23 mq, il secondo di 12 mq……. Si ricompose quindi la processione per giungere fino al Timonchio dove la Vergine si fermò nella piccola chiesetta, tutta parata a festa, per la Messa della  Mezzanotte di soli uomini. Tutti i presenti numerosissimi, s’accostarono alla S. Comunione. Nelle prime ore del mattino la statua fece o in Parrocchia…. Si compose quindi la lunga processione preceduta dalla Banda delle Piane che per via Pozzetto e Grimola doveva condurre la Madonna al Timonchio…. Giunti al Timonchio la folla si ferma e la Madonna è deposta  su un altare; pare giorno, tante sono le luci e le insegne luminose ad ogni angolo, ad ogni balcone.   

La nuova Parrocchia

La posa  della prima pietra della nuova chiesa avvenne il 2 ottobre 1962 alla presenza del Vescovo, Carlo Zinato, dell’Arciprete di S. Maria di Santorso, don Gino Novello, del progettista, Gino Serblin, del costruttore, Giuseppe Munaretto, e del sindaco Luigi Broccardo. La chiesa fu benedetta il 13 giugno 1965. La nuova parrocchia, con il titolo di Sant’Antonio di Padova e con territorio tratto dalle parrocchie di Santorso, San Pietro in Schio e Santa Croce in Schio, fu eretta il 6 aprile 1969. 

L’Altare Maggiore  

Entrando in chiesa lo sguardo corre immediatamente alla grande croce dell’altare maggiore come obbedendo alla parole di Gesù: “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). La croce pur essendo appesa alla parete, grazie allo sfondo, appare come piantata della terra, quella terra con la quale Dio Creatore plasmò il primo uomo e con la quale anche ciascuno di noi è fatto, quindi piantata dentro l’umanità tutta. Alla base della parete si vedono tre forme rotondeggianti, possibili alture. La croce, quindi, è piantata sul monte Calvario, mentre volendo dare un nome alle altre due alture, diremmo che quello a sinistra è il monte Tabor, il monte della Trasfigurazione e quello a destra è il monte degli Ulivi il monte dell’Ascensione: Trasfigurazione  e   Ascensione sono gli episodi l’uno che precede e l’altro che segue la morte e la risurrezione  di Cristo.   

“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34

”In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43)

”Donna, ecco tuo figlio!(Figlio,) ecco tua madre!” (Gv 19,26-27)

”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34)

”Ho sete” (Gv 19,28)

”E’ compiuto!” (Gv 19,30)

“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46)

Osserviamo, ora, il tabernacolo. La forma è particolare: sembra un occhio, l’occhio di Dio di cui i salmi così cantano: “ L’occhio del Signore) è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame” (Sl 32) e ancora: “ (il suo occhio) scruta le genti” (Sl 65). Dal tabernacolo parte un raggio luminoso che si pare a illuminare il corpo di Gesù sulla croce e, per contro, contemporaneamente un fascio di luce si sprigiona dal corpo di Gesù e si posa sul tabernacolo: in questo scambio reciproco di luce possiamo cogliere le parole che Gesù pronunciò nell’ultima cena: “ ( Prendete, e mangiate tutti:)  questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”. La croce, segno di morte è diventata albero della vita! Gesù ha detto: “ Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene dal padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6) e ancora: “ Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). La via cristiana è a forma di croce; non cosiste nell’evitare, ma nel partecipare alle sofferenze di Cristo, che racchiudono non solo le nostre sofferenze, ma quelle del mondo intero. 

La vetrata dell’altar maggiore

Dal grande crocifisso dell’altare maggiore lo sguardo si alza verso la vetrata che propone una visione di gioia. Il figlio di Dio non è morto, ha vinto la morte “e nello spirito andrò a portare l’annuncio anche alle anime prigioniere” (l Pt 3,19), “Per questo è detto: Ascese in alto, ha portato con sé prigionieri” (Ef 4,8). 

Gesù sale al Padre in mezzo al tripudio degli angeli. Sentiamo risuonare le parole del salmo 15: “Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa”. 

La discesa agli inferi è il pieno compimento dell’annunzio evangelico della salvezza. Cristo morto, con l’anima unita alla sua Persona divina è disceso alla dimora dei morti. Egli ha aperto le porte del cielo ai giusti che l’avevano preceduto. La catena spezzata ai polsi dell’angelo indica appunto la liberazione dei “prigionieri”, di tutti i gusti vissuti prima della nascita di Gesù. L’angelo con la cetra rimanda ai salmi: 

“Lodate il signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo, con arte suonate la cetra e acclamate”. (Sl 32)

“Ascende Dio tra le acclamazioni…. cantante inni” (Sl 46)

”I cieli e la terra sono i pieni della tua gloria”

Se osserviamo attentamente la composizione ci accorgiamo di due movimenti ottenuti mediante la disposizione delle tessere del mosaico. Un primo movimento è generato da linee  che scendono come raggi dal vertice allargandosi fino alla base. Un movimento discendente, quindi, che dà il senso della  potenza e della gloria di Dio e insieme dell’amore: le braccia del padre con le mani aperte indicano chiaramente che sono lì per  accogliere, per abbracciare il Figlio (sembra quasi che lo “tirino su”). Il secondo movimento  è quello che sottolinea, accompagna Gesù  che sale di slancio verso il Padre: le sue braccia sono nella stessa posizione di quelle del crocifisso sottostante come a evidenziare la simultaneità tra morte di Cristo-uomo e l’ascesa in cielo di Cristo-Dio. Il padre guarda il Figlio e il Figlio alza lo sguardo verso il Padre  e i bagliori rossi, fiamme di fuoco, indicano la presenza dello Spirito Santo, lo Spirito d’Amore.

I due angeli lodano il Signore e offrono incenso, proprio come canta il salmista:

“Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere” (Sl 148)

”La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sl 140)  

La vetrata a sinistra dell’altare maggiore

La mattina, quando il sole la illumina è il momento più propizio all’osservazione di questa vetrata. Nei tre riquadri che la compongono è centrale la figura di Gesù la cui vita terrena viene raccontata, in una sintesi efficace, della nascita alla condanna a morte passando per l’adorazione dei Magi.

La nascita di Gesù 

C’è una particolarità nel presepio che si vede in questo riquadro della vetrata: la “mangiatoia” nella quale il bambino Gesù dovrebbe essere deposto, è in realtà un cubo di pietra (la stessa pietra che troviamo nella scena della deposizione nel sepolcro) ma, con una tenerezza e sensibilità tutta femminile, il suo capo è appoggiato su di un cuscino……. e ancora il bambino Gesù appare coricato su un fianco, dorme: non è rivolto verso chi lo guarda come di solito nei presepi………

L’adorazione dei Magi

Seguendo il racconto del Vangelo, l’adorazione dei Magi avviene in casa e non nella grotta, come nei presepi che noi allestiamo. La Madonna sembra quasi “offrire” suo figlio all’adorazione dei Magi, in un gesto di “compiacimento”: è un bambino prezioso perché Figlio di Dio…. è figlio suo, ma “appartiene” a tutti …………..

La passione di Gesù

Questo riquadro è efficace nella sua semplicità: la croce anche se appare in secondo piano è tuttavia l’elemento di sintesi della scena: ci parla della morte alla quale è già stato condannato il Figlio di Dio;  le mani di Pilato, una nel bacile colmo d’acqua e l’altra alzata in un movimento significativo, evidenziamo il suo atteggiamento, ci fanno quasi sentire le sue parole: non sono responsabile, non c’entro niente, vedetevela voi; due teste e due pugni che si capiscono agitati rabbiosamente ci mostrano la folla che urla……. sul capo di Gesù è già stata posta la corona di spine; si sta compiendo la passione …”).

La vetrata a destra dell’altare maggiore

La deposizione  è un tema caro agli artisti: pittori e scultori hanno rappresentato, nei secoli, il senso di pietà delle donne, sopratutto della Madonna……

La pietra bianca sulla quale pioggia il corpo di Gesù ci indica che la scena è collocata nel sepolcro: è il momento della deposizione: Chi sono le tre donne che con tanta tenerezza, devozione e attenzione sono li, accanto a Gesù?  Cerchiamo nei vangeli.

Luca non le nomina, resta nel vago: “Le donne che erano venute con Gesù della Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e olio profumati.” (Lc 23,55-56), ma ne racconta la preoccupazione (seguono Giuseppe D’Arimatea a cui Pilato ha concesso il corpo di Gesù) e la pietà (preparano aromi e olio profumati);  secondo Matteo (27,61) “Lì sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria”; 

Marco (15,47) racconta che “Maria di Màgdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove veniva posto”

Giovanni (Gv 19,25); “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala” è, anche se non lo dice, le stesse seguirono Giuseppe d’Arimatea fino al sepolcro. 

Chi sono le tre donne?

La donna con il manto azzurro, colei che sostiene il corpo di Gesù non può che essere la madre sua, Maria. E’ il gesto di una mamma che non vuole vedere il figlio per terra, come abbandonato sulla pietra fredda e dura….non vuole che sia morto, lo sostiene come tante volte avrà fatto quand’era bambino….

Quella che bacia delicatamente e devotamente la mano del Signore forata dal chiodo potrebbe essere Maria di Màgdala, “dalla quale erano usciti sette demòni” (Lc 8,2) cacciati da Gesù del quale si mise prontamente a seguito: il suo gesto si può interpretare anche come un gesto di ringraziamento, di riconoscenza ….

La donna che piange con il viso tra le mani è un altra Maria: il suo atteggiamento fa pensare a un dolore più personale, più raccolto, quasi una meditazione.

Dopo la sua risurrezione Gesù appare ripetutamente per rassicurare i discepoli delusi, per convincerli che l’evento straordinario, umanamente impossibile, è realmente avvenuto…..

In basso, a sinistra, la Madonna; tra gli apostoli spicca la figura di Pietro che tiene in mano una grossa chiave segno del primato conferitogli da Gesù, come narra Matteo: “E io a te dico:” Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,18-19).

Le figure che compaiono nel riquadro: Gesù che mostra le ferite delle mani e del costato e le lingue di fuoco che scendono sopra le teste degli apostoli, ci raccontano della prima apparizione del Risorto. 

Si tratta dell’attualizzazione delle parole di Gesù: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20.21).

In alto il pontefice, successore di Pietro a cui Gesù disse: “Pasci le mie pecore” (Gv 21,17);

più in basso i vescovi, successori degli apostoli, obbedienti al comando di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20); 

ancora: due confessori, un religioso e un sacerdote, nell’atto di assolvere due penitenti; 

nell’angolo: due figure alle prese con un libro aperto…un maestro con uno scolaro, un papà con un figlio, un catechista con un bambino, due seminaristi o due novizi….

Sullo sfondo lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, che sempre guida e conduce la Chiesa secondo le promesse di Gesù: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) e “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16,13)

La Cappellina della Madonna 

L’azzurro del cielo è il colore che fa da sfondo all’altare della Madonna: su questo sfondo,poi, si susseguono, via via restringendosi, ampie volute, sempre più delicatamente sfumate, che accompagnano lo sguardo verso la statua della Vergine Immacolata che ci accoglie inserita in un ovale concluso. Dietro l’immagine c’è un ovale più piccolo, bianco: esprime il candore dell’anima della Donna nata senza peccato originale, tabernacolo immacolato per il Figlio di Dio che deve nascere.

Una volta che l’attenzione si è concentrata sulla Madonna e ci siamo soffermati in contemplazione e preghiera, quelle stesse volute che avevano fatto convergere lo sguardo verso il centro della cappellina si dilatano e sembrano sollevare la statua verso l’alto  e anche se i segni celesti si fermano contro il soffitto, lasciano intravedere, proprio per come sono stati tracciati, un aldilà verso cui la Madonna ci guida, ci orienta, ci accompagna: Lei, che noi credenti lodiamo come Regina e Porta dei cieli.

La vetrata della cappellina della Madonna

La grotta di Lourdes: la Madonna e Bernadette.

Secondo  quanto affermò Bernadette, la “signora” si presentò il 25 marzo 1858 (festa dell’Annunciazione) come l’ “Immacolata Concezione”. Il dogma dell’Immacolata Concezione era stato proclamato da papa Pio IX appena quattro anni prima, l’8 dicembre 1854. Un dogma probabilmente ignoto a Bernadette, una contadina analfabeta che non aveva neppure frequentato il catechismo. Lei raccontò di non sapere il significato di quelle parole, e di essere stata capace di riferirle solo perché nel correre  a casa se le era continuamente ripetute tra sé e sé.

Osserviamo le braccia di Bernadette spalancate, aperte per un abbraccio totale, abbandonato…un’apertura gioiosa alla Madonna che la guarda con amore di mamma.

Tutte le sere, a Lourdes, si snoda una processione che parte dalla Grotta delle apparizioni e si conclude davanti alla Basilica del Rosario: è conosciuta come “Flambeau” perché i partecipanti, i malati in particolare, tengono in mano un cero acceso. Da qualche anno, viene portato anche un baldacchino con la statua della Madonna.

Nel riquadro sono illustrati alcuni particolari della processione. Innanzitutto i due “malati”: una figura maschile su una sedia a rotelle e una figura femminile semisdraiata su una barella. Entrambi i pellegrini hanno in  mano un cero acceso. Una dama di carità spinge la sedia a rotelle: lo sguardo sembra rivolto alla Madonna, un gesto di preghiera fiduciosa. Un volontario traina la barella e una donna, una parente o una dama di carità, si china sull’inferma in un momento di affetto e di consolazione.

Nel riquadro, secondo una nostra interpretazione, è raffigurata una guarigione miracolosa. L’uomo che esce dalla piscina esprime un cambiamento radicale: le braccia alzate sono il segno evidente e chiaro di ringraziamento e di lode. Qualcosa è accaduto: qualcosa di prodigioso. La gioia della dama di carità che accoglie l’uomo che sta uscendo dall’acqua, le sue mani e il suo busto chinato, rivolto e quasi proteso verso la Madonna sembrano confermare un miracolo. E colui che ancora in barella, ai bordi della piscina, attende chi lo aiuti ad entrare, agita la mano esprimendo, così, la sua partecipazione alla gioia e nello stesso tempo un’invocazione di speranza. La donna, scesa nella piscina e ancora immersa nell’acqua, probabilmente ha visto quanto è accaduto e, quasi incredula, con il volto tra le mani sta pregando o comunque qualcosa si agita nel suo cuore e nella sua mente. La dama di carità, la figura in basso a destra, sembra quasi voler consolare la donna della piscina e nello stesso tempo invitarla alla lode e al ringraziamento. Però la scena potrebbe essere letta anche come una serie di azioni, slegate una dall’altra, che si verificano quotidianamente….. 

La cappellina di sant’Antonio

La statua lignea rappresenta sant’Antonio che tiene in braccio Gesù Bambino seduto sopra un libro aperto: il Gesù Bambino ricorda la visione che Antonio avrebbe avuto a Camposampiero ed esprime il suo attaccamento all’umanità del Cristo e la sua intimità con Dio. E’ inserita in un tripudio di colori che ricordano alcuni simboli propri dell’iconografia del Santo.

Il Bianco è il colore del giglio che spesso accompagna le immagini di sant’Antonio (la statua situata nella cappella invernale ne è un esempio): rappresenta la sua purezza e la lotta contro il demonio condotta fin dall’infanzia. 

Il Giallo ricorda il grano e quindi il pane: la sua carità verso i poveri. L’immagine si collega con l’opera “Pane dei poveri di sant’Antonio”, sempre viva e attuale. Come pure si collega alla Caritas antoniana, che porta la solidarietà di sant’Antonio in tutto il mondo

Il Rosso, simbolo del fuoco, indica il suo amore per Dio e per il prossimo.

L’Amaranto suggerisce la copertina di un libro. L’immagine più antica e più vicina alla realtà di sant’Antonio è rappresentata dal libro, simbolo della sua scienza, della sua dottrina, della sua predicazione e del suo insegnamento sempre ispirato al Libro per eccellenza: La Bibbia.

Il Marrone è il colore del saio francescano e ricorda la sua appartenenza all’ordine, ma con caratteristiche particolari. 

La vetrata della cappellina di sant’Antonio

L’iconografia di sant’Antonio comprende un complesso di simboli tra i quali: il saio, il  libro e la  fiamma. Essi esprimono sia una caratteristica della sua personalità, sia doni e le qualità che gli ha attribuito la devozione popolare. Nello sfondo del riquadro si riconosce la grande cupola della Basilica dove è sepolto sant’Antonio rappresentato nel saio francescano. Il libro aperto e le carte arrotolate strette  nella mano indicano la profonda conoscenza della Scrittura. Tra i contemporanei e nelle generazioni immediatamente successive, il Santo fu ritenuto maestro di sapienza cristiana, e biblista impareggiabile. Nel 1931, sette secoli dopo la sua morte, fu avviata una procedura storico-giuridica conclusa il 16 gennaio 1946: Pio XII proclamò  sant’Antonio Dottore della Chiesa con il titolo di “doctor evangelicus”. La fiamma indica il suo amore per Dio e per il prossimo, ma anche il suo amore per la Bibbia e l’azione dello Spirito Santo in una predica famosa durante durante un soggiorno a Roma. Sant’Antonio avrebbe rivolto un discorso a una moltitudine di pellegrini e, in virtù di un prodigio simile a quello accaduto agli Apostoli il giorno della Pentecoste, ognuno degli uditori lo sentì parlare nella propria lingua.

Leggiamo il quadro: sullo sfondo le mura merlate di una città, probabilmente Padova dove Sant’Antonio passò pochi mesi della propria vita lasciando però un forte segno della sua presenza; due corpi senza vita; due figure, una delle quali certamente femminile, nella disperazione; sant’Antonio in atteggiamento di invito, forse di supplica o di rimprovero, di fronte a un uomo che dimostra autorevolezza. Sono due gli episodi della vita del santo riconducibili alla rappresentazione. Il primo relativo alla lotta che il santo condusse, a Padova, contro l’usura e gli usurai che riducevano in miseria e in prigione perfino alla morte i debitori. Sant’Antonio intervenne riuscendo a ottenere la riforma del Codice statuario repubblicano grazie  alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Il secondo  riguarda l’incontro con Ezzelino da Romano ,il despota che aveva fatto incarcerare, torturare, e uccidere migliaia di cittadini padovani: sant’Antonio si recò a Verona per implorarne la clemenza. 

Nel riquadro viene rappresentato uno dei miracoli più conosciuti, quello della mula, accaduto a Rimini dove sant’Antonio predicava verso il 1223. L’episodio dice che un eretico  di nome Bonillo non voleva sentire parlare di presenza eucaristica. Ne nacque una sfida. L’eretico Bonillo doveva tenere a rigoroso digiuno per tre giorni la sua mula; poi si sarebbero incontrati in piazza. E’ facile immaginare la scena: arriva l’eretico con la  mula scalpitante con la cesta della biada; sopraggiunge con l’Ostensorio S. Antonio: la mula affamatissima lascia la biada per adorare l’Ostia Chiesa dei Paolotti nella piazza centrale di Rimini: a ricordo del fatto c’è Adorazione quotidiana nella Chiesa riminese.

Il fonte battesimale

Agli inizi del cristianesimo il battesimo veniva amministrato esclusivamente dal vescovo e l’unico fonte battesimale si trovava nella chiesa cattedrale. Nei secoli successivi anche le varie pievi e le successive chiese arcipretali e parrocchiali ebbero il proprio fonte battesimale. Anche le modalità del battesimo cambiarono e così sia la forma del fonte battesimale che la sua collocazione subirono una evoluzione. Quello della nostra chiesa è addossato ad una delle dodici pareti e risulta perciò inserito tra due colonne che la limitano. Questa collocazione offre lo spunto per alcune riflessioni. La nostra vita terrena ha un inizio e una fine: ecco allora che le due colonne ne racchiudono il tempo e lo spazio. E i raggi di luce che si dipartono dal fonte battesimale sono l’espressione visiva della vita nuova: dall’acqua del Battesimo la vita eterna……   e la statua lignea ci ricorda che Lui, Cristo, ha vinto la morte: “Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25). Cerchiamo, adesso, di interpretare il significato delle onde dipinte nella parte inferiore della parete: a sinistra del fonte battesimale si contano cinque onde, a destra tre. Queste tre onde “rappresentano” ciascuna una persona della Santissima Trinità: nell’onda più chiara identifichiamo il Padre, in quella più scura lo Spirito Santo e nella terza, che sta in mezzo alle altre due, il Figlio…….   Perché  un’onda a rappresentare Dio, uno e trino? Intanto perché le onde hanno ciascuna una propria personalità pur fondendosi in un unico mare e poi perché la presenza e l’azione di Dio, che è sempre forte, potente e costante, viene percepita e vissuta da ciascuno di noi in modo differente nei diversi momenti della nostra  storia personale.  A sinistra del fonte battesimale altre due onde, dal colore più carico, si aggiungono alle tre precedenti: evidenziamo l’uomo, la sua lotta interiore, la sua continua e affannosa ricerca, la sua tensione, la sua anima come un mare in tempesta. Ed ecco: nella vita, nell’anima dell’uomo si inserisce lo Spirito Santo che dà luce, mette quiete così che l’uomo vecchio scompare: le due onde dell’uomo al di là del fonte battesimale (cioè dopo il Battesimo) non ci sono più. L’azione dello Spirito Santo sembra attenuarsi per dare spazio al Figlio (l’onda centrale); scrive san Paolo “Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me”(Gal 2,20). 

Il Battesimo

Il nucleo centrale della vetrata è formato da un fascio giallo-oro che scende dall’alto a circondare una distesa di “onde” blu-azzurro-verde-celeste….. Acqua e luce…..

L’acqua è segno di lavacro, di purificazione, di morte, e insieme elemento da cui procede la vita: l’acqua è principio di vita nuova che salva. 

La luce…. Di nuovo Gesù parlò loro disse: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12);  e nella luce le tre persone della Santissima Trinità: 

Il Padre: l’occhio inserito nel triangolo colloca la presenza di Dio (uno e trino) a dominare la scena e i raggi che emana e scendono dall’alto “fanno” udire la sua voce… voce che incontreremo di nuovo in occasione della trasfigurazione di Gesù, dove però è aggiunto l’imperativo “Ascoltatelo!”; 

Il Figlio: la croce, perché il significato pieno del battesimo di Gesù, il suo portare “ogni giustizia” si rivela solo nella croce, il battesimo è l’accettazione della morte per i peccati dell’umanità, e la voce dal cielo “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mc 3,17), è il rimando anticipato alla risurrezione. Così si comprende il motivo per cui nei discorsi propri di Gesù la parola “battesimo” designa la sua morte (cfr Mc 10,38; Lc 12,50); 

Lo Spirito Santo: la colomba che oltre a riprendere il racconto di Gesù può ricordare l’aleggiare dello Spirito sulle acque, del quale parla il racconto della creazione (cfr. Gn 1,2);  Così nel vangelo di Matteo: “Appena battezzato, uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui ” (Mt 3,16). 

In primo piano, nella vetrata, c’è un libro aperto. Ci piace pensare che l’artista si riferisca al “libro della vita” di cui scrive san Paolo: “… hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con altri  miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (Fil 4,3.)

Nel libro della vita sono scritti i nomi dei “salvati” mentre, si legge nell’Apocalisse: “…chi non risultò nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco” (Ap 20,15).  

La Cresima

Le tessere centrali che compongono la vetrata descrivono una spirale di luce che si irradia, si espande in continuazione: è lo Spirito Santo (la colomba e le lingue di fuoco) che illumina e dà forza. L’esigenza dell’apertura ricavata nella vetrata ha reso difficile la realizzazione della scena che risulta, perciò, meno efficace di quanto richiederebbero e la potenza e la forza e la sapienza dello Spirito Santo e, quindi, del sacramento della Cresima.  Riviviamo l’episodio negli Atti degli Apostoli: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro,  e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel mondo in cui lo Spirito dava loro potere di esprimersi” (At 2,2-4).

 

L’Eucaristia

In primo piano, nella vetrata, il pane e  il calice come nella cena pasquale che Gesù celebrò, secondo la tradizione ebraica, con gli apostoli il giovedì prima della passione e morte. Il pane, però non è il matzàth  (azzimo, preparato unicamente con farina di frumento e acuq, senza lievito e sale) che gli ebrei usavano e usano anche oggi per la celebrazione della loro pesàch (pasqua). Quello che è rappresentato è il pane che troviamo sulla nostra tavola e mangiamo ogni giorno. Alimento di base, essenziale e simbolico  nelle civiltà mediterranee, nutrimento fondamentale: “il pane quotidiano”. L’uomo, tuttavia, è affamato di qualcosa di più, ha bisogno di qualcosa di più. Il dono che nutre l’uomo in quanto uomo deve essere più grande, deve trovarsi su un altro piano. Dice Gesù: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,35).

E’ un pane spezzato  o sono due pani? I miracoli della moltiplicazione dei pani, allorché il Signore pronunciò la benedizione, spezzò i pani  e li distribuì per mezzo dei suoi discepoli per sfamare la folla, prefigurano la sovrabbondanza di questo unico pane che è la sua Eucarestia (cfr. Mt 14,13-21; Mt 15,32-39). Gesù stesso è diventato pane per noi, e questa moltiplicazione dei pani durerà in modo inesauribile fino alla fine dei tempi.

Il calice: nel calice dell’ultima cena c’era del vino e anche nel calice del sacerdote prima della consacrazione c’è del vino; sono le parole di Gesù che trasformano il vino in Sangue, nel suo Sangue. “Con la parola riguardante il suo sangue che egli ci dà da “bere” si delinea ciò che vi sta alla base: il sacrificio di Gesù che versa il suo sangue per noi e in questo modo esce, per così di re, da se stesso, si riversa, si dona a “noi”. Significativo appare, sotto questo aspetto, il posizionamento della vetrata: di fronte all’altar maggiore dove giganteggia il Crocifisso. Inserendo nella scena un agnello e una croce l’artista ha voluto “mostrare il miracolo”: nel calice cadono gocce del sangue dell’Angelo sacrificato, di quel sangue uscito dal costato del Cristo dopo il colpo di lancia inferto dal soldato che voleva sincerarsi della morte del crocifisso.

La Penitenza

Una catena spezzata, una colomba che “vola verso l’alto ”, due mani che si protendono e la croce; sono questi gli elementi scelti dall’autore della vetrata per simboleggiare il sacramento della Penitenza.

La catena spezzata: innanzitutto perchè una catena? Senza dubbio perchè è simbolo di schiavitù e, in questo caso, della schiavitù del peccato

La “colomba che vola verso l’alto”: in questo sacramento lo Spirito Santo, mediante la Chiesa, assume la volontà di conversione manifestata dal singolo penitente e la fa incontrare con la volontà divina di rimettere i peccati; è per esprimere questa azione salvifica e misteriosa che la colomba spicca il volo dalla catena spezzata.

Le mani: sono le mani del padre che “guardano”, che “corrono incontro”, che si protendono nell’accoglienza quasi anticipandola…….mani piene di gioia: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20). Il padre ascolta la confessione del figlio e vede in essa il cammino interiore da lui percorso, vede che ha trovato la strada verso la vera libertà. Così non lo lascia neppure finire di parlare, lo abbraccia, lo bacia e fa preparare per lui un grande e gioioso banchetto: “facciamo festa, perchè questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”(Lc 15,23-24).

La croce: è Gesù Cristo, con la sua morte, che ci ha riconciliato  con il Padre. Attraverso le parole dell’assoluzione è Cristo stesso che accoglie il peccatore pentito e lo riconcilia col Padre e nel dono dello Spirito Santo lo rinnova come membro vivo della Chiesa. L’uomo, riconciliato è accolto nella comunione vivificante della Trinità, inserito nella profondità e nella ricchezza delle relazioni divine; il sacramento del perdono rinnova il rapporto del cristiano col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo. 

Il sacramento della Penitenza o Riconciliazione o Confessione

L’Unzione degli Infermi

La composizione ha il suo centro in una figura stilizzata nella quale si può ipotizzare un corpo avvolto in un lenzuolo o comunque fasciato come, un tempo, i defunti venivano preparati per la sepoltura……. 

Attorno alla figura altri elementi:

una stola di colore viola (il colore del lutto, della penitenza…) dalla quale la mano del sacerdote si protende a intingere un  dito nell’olio benedetto per l’unzione dell’infermo; 

un libro aperto: forse il vangelo, più probabilmente il libro della vita, lo stesso che si vede anche nel battesimo; 

il cero pasquale , simbolo del Cristo risorto luce vera del mondo (la luce di Cristo vince le tenebre della morte e del male), che viene acceso nella celebrazione delle esequie per ricordare la risurrezione di Cristo che illumina il mistero della morte (……segno della vita nuova in Cristo che strappa dalle tenebre della morte e trasferisce i credenti nel regno della luce). Questo particolare ci riporta al tempo antecedente il Concilio Vaticano II, quando il sacramento veniva chiamato “Estrema unzione”, “l”olio dei moribondi” e veniva generalmente conferito a persone in punto di morte o addirittura già morte.

L’Ordine

Ci sono davvero pochi elementi a presentare il sacramento dell’Ordine: un libro, probabilmente il Vangelo che viene consegnato al nuovo vescovo e al nuovo diacono nella cerimonia dell’ordinazione; due mani, un pane spezzato e un calice che ricordano il gesto di Gesù nell’ultima cena e le sue parole: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19 e lCor 11,24). Sullo sfondo, ma ben visibile e presente, la croce: il sacerdote è chiamato ad essere con la sua intera esistenza la vivente memoria del Salvatore, vivendo la sequela di Gesù come condizione decisiva di credibilità del suo servizio di comunione.

Il sacramento dell’Ordine

L’ordine è il sacramento grazie al quale  la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministro apostolico. Comporta tre gradi: l’episcopato, il presbiterato e il diaconato. Il vescovo, e con lui i preti e i diaconi, sono inscindibili dalla comunità, intendendo per comunità la Chiesa  intera e poi quella locale. E la comunità la chiesa, è impensabile senza il vescovo e i preti, perché è impensabile senza Parola, senza eucaristia, senza Sacramenti, senza Gesù e senza lo Spirito Santo. Attraverso il ministro ordinato, specialmente dei vescovi e dei sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in mezzo alla comunità dei credenti.

Il Matrimonio

Due mani che stanno per stringersi, due lampade accese e la croce: semplici, ma significativi simboli per rappresentare il sacramento del Matrimonio. Le due mani, una maschile e una femminile, parlano di due persone e le due lampade, uguali e accese, precisano che si tratta di due credenti, due persone che hanno la stessa fede…  Ma la fiamma che arde forte, vigorosa rappresenta anche l’amore, quello di Dio per l’uomo e quello degli uomini tra loro: L’amore degli sposi trova alimento continuo in Cristo: le fiamme delle due lampade che si intrecciano tra loro inglobando anche la Croce lo esprimono chiaramente. Due persone si uniscono: la fusione di due esistenze, nel rispetto dei doni e della personale identità di ciascuno, non è mai perfetta, ma è sempre da conquistare attraverso la preghiera e l’amore di ogni giorno. Non si può eludere, lungo questo cammino, la logica della croce. Il Matrimonio cristiano è ben più di una scelta di costume. E’ vocazione e dono, è consacrazione e missione.

Dal libretto pubblicato il 21 settembre 1969 

per il solenne ingresso del primo parroco  DON MARCELLO ROSSI, 

nella parrocchia di S.ANTONIO al Timonchio

Panorama Timonchio                                                                                   (Foto Formilan)

La prima notizia del Timonchio, anche se non ancora sufficientemente documentata, risale al noto privilegio del Vescovo Rodolfo di Vicenza il quale nel 972 concesse al monastero di S. Felice una piccola cella benedettina occupata da un monaco e situata < inter Scledum et S. Ursim>. La presenza di alcuni monaci nella zona spiegherebbe quindi- secondo alcuni-  l’origine del nome Timonchio divenuto tale da <Tituls Monachi> contratto in Ti-monchi. Da documenti,successivi storicamente più sicuri, si viene a sapere che verso il 1449 il titolo di tale cappella era: <Sancti Antoni Abatis de ultra pontem> e che il Santo veniva invocato contro il male del <fuoco sacro> e nel pericolo di pestilenza. La cura della chiesa era allora lodevolmente sostenuta dai nobili scledensi Bonagente, gli stessi- se non andiamo errati- che hanno costituito il patrimonio delle Opere Pie (E.C.A.) di Santorso. Gli stessi generosi Signori nel 1566, allo scopo di consentire al crescente numero di fedeli della zona la possibilità di ascoltare la S. Messa, crearono, in favore della Cappella, una piccola dote, successivamente accresciuta, affinché un sacerdote potesse stabilmente celebrarvi i sacri misteri. In un primo tempo il sacerdote officiante apparteneva al convento dei Francescani di Schio, ma dal 1613 i documenti registrano i nomi di sacerdoti diocesani che celebravano nell’oratorio del Timonchio nelle Domeniche e feste per la pietà dei fedeli e dei Signori  Bonagente. Tale oratorio era naturalmente preesistente alla attuale chiesetta di Via Stamperia. Nei secoli XVII e XVIII il servizio religioso e la manutenzione del sacro edificio subirono alterne vicende finché verso la metà del secolo XIX la chiesa primitiva fu radicalmente ricostruita  e il 28 gennaio 1864 l’Arciprete di S. Orso D.G.B. Fioretti (maranense) benedisse la prima pietra l’attuale cappella in Via Stamperia, opera dell’architetto Ottone Calderari  e  l’anno successivo fu aperto al culto. Il primo mansionario fu Don Vito Nicoletti, munifico donatore di una casa con attiguo brolo allo scopo di favorire la presenza continua di un sacerdote. Dopo di Lui gli anziani del Timonchio ricordano il servizio religioso prestato dai sacerdoti privati di S.Orso: D. Prosdocimi (zio dell’attuale Arciprete di Breganze) e D.Giovanni Thiella. Tale servizio continuò fino nel 1913 quando l’Arciprete D. Gaetano Greselin lo avocò a sé inviando ogni domenica il cappellano della Parrocchia per la celebrazione di una S. Messa. In questo periodo si inserisce la benemerita opera della Signora Scala che trasforma parte della sua casa in accogliente oratorio per la gioventù femminile. 

Nuova chiesa con canonica

Frattanto, con l’aumento  della popolazione la chiesetta dei Bonagente si dimostrava sempre più incapace a contenere i fedeli della zona. Da ciò la necessità di una nuova chiesa più ampia e funzionale, magari un po’ più lontana dalla matrice,  e più rispondente alle esigenze della periferia in continuo sviluppo. Se ne parlò per tanto tempo con viva aspirazione e finalmente il problema cominciò ad uscire dal campo dei sogni per avviarsi a concreta attuazione quando l’Arciprete D. Gino Novello nel 1957 decise di commutare la nota donazione del benemerito concittadino Giovanni Pozzan con un’area di 6.000 metri situati in Via Roma sulla quale diede inizio nell’ottobre del 1962 alla tanto sospirata chiesa su disegno dell’Ing. Serblin di Vicenza.

IL TIMONCHIO DIVENTA PARROCCHIA 

La comunità di Timonchio era dunque attrezzata e pronta per divenire Parrocchia e l’atteso decreto Vescovile venne felicemente firmato il 6 aprile c.a. 1969 giorno di Pasqua insieme con la nomina a Vicario economo nella persona del Rettore Don Marcello Rossi. Due mesi dopo, il 3 giugno il Vescovo, anche in riconoscimento della fervida attività svolta da Don Marcello nei quattro anni di rettorato lo nominava tra l’esultanza generale dei fedeli primo Parroco della nascente Parrocchia. La nuova Parrocchia con una superficie di circa mq. 275 presenta  nel suo grafico  la figura di un lungo rettangolo percorso in senso verticale dal torrente Timonchio. Essa confina:

  1. a  Sud-Ovest con le Parrocchia di S. Croce e di S. Pietro di Schio dalle quali si staccano per unirsi a Timonchio le famiglie abitanti in Via Braglio e nella zona del Maso Granotto;
  2. a Est con la matrice di S. Orso dalla quale, per buona parte è divisa dal torrente Rio; 
  3. a Nord-Ovest con le parrocchie di S. Rocco, S. Maria del Pornaro e Piane.

Ne risulta una Comunità di 1758 abitanti suddivisi in 340 famiglie. In tale numero, oltre ai Timonchiesi originari, vanno compresi, come è ovvio, i citati abitanti della periferia di Schio (n. 127)  e i numerosi immigrati (n. 350) – la maggior parte da Tretto- qui stabilitisi recentemente. Tale composizione , a chi non vive tra noi può ovviamente apparire alquanto eterogenea e poco adatta a dare l’avvio ad una comunità parrocchiale viva ed operante. Ma la constatazione ci porta a conclusioni del tutto diverse. Timonchio si sente comunità religiosa compatta, unita intorno al suo Parroco di cui va, da quattro anni rilevando ed apprezzando le preziose  doti di sacerdote zelante ed attivo. Grazie alla sua attività, appoggiata dalla collaborazione dei fedeli, la nuova parrocchia presenta oggi un quadro completo di tutte le attività che possono rendere vitale ed operante una comunità parrocchiale. L’A.C.  suddivisa  ancora nei quattro rami conta 350 iscritti così ripartiti:

  1. Uomini n.30- Giovani n.67

      F. Donne n. 71- Fanciulli n. 32- G. Femm. n. 145

Da segnalare poi le commissioni pastorali che operano nei vari campi: catechistico, liturgico, corale-ricreativo e per la diffusione della buona stampa. Vorremmo aggiungere che tutte queste attività sono sostenute da un comune generale fervore che sta a dimostrare la compattezza nel bene  di tutta una popolazione anche se formata da provenienza diversa. A questo proposito ci sembra anzi doveroso rilevare e segnalare la presenza attiva e spesso determinante degli ultimi arrivati in tutte le manifestazioni della Parrocchia. Tutto questo fervore di attività e di buon auspicio per la vita della comunità parrocchiale ora costruita. Stretti attorno al loro Parroco i fedeli del Timonchio rinsalderanno sempre più i vincoli di una organica unione spirituale, lieti di portare il loro contributo fattivo e generoso  perché la Parrocchia, cresca, si rinvigorisca, possa felicemente attuare la sua missione di bene. Al novello pastore l’augurio di poter sempre contare sulla venerazione e sulla collaborazione dei suoi fedeli.

IL COMITATO

LA CHIESA DI S.ANTONIO OFFRE AI PROPRI

FIGLI SPIRITUALI LA MEMORIA DI 40 ANNI

DI……..UNA VITA………..UN CAMMINO………….UNA STORIA………

Carissimi nel mio grembo materno è fiorita la vita nel S. Battesimo, per l’immensa gioia dei Genitori e delle famiglie, a 741 bambini e bambine.

Sono stati fortificati con i doni dello Spirito Santo nel Sacramento della S. Cresima o Confermazione 841 adolescenti.

E’ stata gustata la gioia del Sacramento del S. Matrimonio per 270 coppie di giovani sposi.

Nel signore hanno trovato conforto le famiglie che hanno dato l’ultimo saluto terreno ai 607 defunti.

Nel 1973 il Signore ha dato a tutti la gioia grande della Prima S. Messa solenne del novello sacerdote don Antonio Doppio ed ora già tornato alla Casa del Padre nell’anno 2003.

In questi 40 anni di vita è stato rinnovato il divin Sacrificio celebrando circa 18.000 S. Messe

Carissimi figli quanta riconoscenza possa sgorgare dai nostri cuori verso la bontà del Signore per tutto ciò che ci ha elargito. Accostiamoci sempre con piena fiducia all’altare del Signore per trovare in ogni passo della nostra vita ed in ogni esperienza lieta o triste  che sia, luce, sostegno, conforto e tanta speranza. Buon Cammino mie amati figli e figlie …………..